Pellegrino Artusi: il padre della cucina italiana moderna
- Filio Cilli
- 9 ott
- Tempo di lettura: 3 min

Quando oggi parliamo di cucina italiana, pensiamo a un patrimonio di ricette tramandate da nonne e famiglie, diverso da regione a regione. Ma non sempre è stato così: fino all’Ottocento la cucina italiana non aveva ancora una “voce unitaria”. È qui che entra in scena Pellegrino Artusi (1820–1911), un uomo che non fu né cuoco né oste, ma che con un libro cambiò per sempre il modo di cucinare e di raccontare il cibo.
Un uomo comune con una passione straordinaria
Nato a Forlimpopoli, in Romagna, Artusi non ebbe una formazione gastronomica professionale. Si dedicò al commercio e solo più tardi, grazie a una solida condizione economica, poté coltivare la sua grande passione: la cucina. Non cucinava personalmente, ma osservava, raccoglieva, annotava. Era un curioso instancabile, che amava sperimentare e soprattutto condividere.

"La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene"
Nel 1891 pubblicò, a sue spese, “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, un volume che oggi consideriamo un classico senza tempo. Il libro raccoglieva 475 ricette, arrivate fino a lui grazie alle cucine di famiglia, agli amici e ai suoi viaggi. Nel tempo, Artusi continuò ad arricchirlo, fino a superare le 700 ricette.
La vera novità non era soltanto nella raccolta, ma nel modo di raccontare il cibo: Artusi scriveva in un italiano semplice, ironico e diretto, mescolando consigli pratici a piccole storie personali. Il lettore non trovava solo dosi e procedure, ma anche aneddoti, commenti spiritosi e note che rendevano ogni ricetta viva.
L’importanza di Artusi per la cucina italiana Il contributo di Artusi fu enorme:
Unificazione culturale: il suo libro rappresentò una sorta di “dizionario gastronomico” per l’Italia appena unita. Le ricette non erano più solo locali, ma diventavano patrimonio nazionale.
Documentazione storica: oggi il testo è una miniera per chi vuole capire com’era la cucina popolare e borghese nell’Ottocento. Molti piatti che leggiamo lì ci raccontano anche il loro contesto di nascita, legato a disponibilità di ingredienti e usanze sociali.
Accessibilità: Artusi scrisse pensando alle famiglie borghesi, rendendo la cucina un’attività quotidiana, non un segreto riservato ai cuochi professionisti.
Linguaggio universale: la sua ironia e leggerezza trasformarono un ricettario in un libro di compagnia, tanto che ancora oggi viene letto anche per piacere, non solo per cucinare.
Una eredità che continua A distanza di oltre un secolo, Artusi rimane un punto di riferimento per chi ama la cucina italiana. Non solo perché ci ha lasciato ricette autentiche come il cappelletto romagnolo, il pollo alla cacciatora o la zuppa inglese, ma anche perché ha insegnato un principio che vale ancora oggi: cucinare è un atto di cultura e di convivialità, un modo per raccontare chi siamo.
Il suo libro è ancora stampato e consultato, e in molte scuole di cucina viene usato come testo per capire le basi della tradizione. In fondo, Artusi ci ha insegnato che per amare la cucina non serve essere grandi chef, basta la curiosità e la voglia di condividere.
Bibliografia
Artusi, P. (1891). La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Firenze: Tipografia Landi.
Capatti, A. & Montanari, M. (1999). La cucina italiana. Storia di una cultura. Roma-Bari: Laterza.
Montanari, M. (2006). Il cibo come cultura. Roma-Bari: Laterza.
Camporesi, P. (1970). Il paese della fame. Milano: Garzanti.
Forlimpopoli – Casa Artusi: www.casartusi.it
Fotografie da https://en.wikipedia.org/wiki/Pellegrino_Artusi




















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